‘Ndrangheta: omicidio boss Damiano Vallelunga, chiesti cinque ergastoli
La Procura generale di Reggio Calabria nell'ambito dell'operazione "Confine" ha poi avanzato richieste di pena per complessivi 90 anni di reclusione
Si è conclusa la requisitoria della Procura generale di Reggio Calabria che ha chiesto alla Corte d’Appello cinque ergastoli e 90 anni di carcere nell’ambito del processo nato dall’operazione antimafia denominata “Confine” scattata l’8 agosto 2012 e che mira a far luce sull’omicidio del boss di Serra San Bruno, Damiano Vallelunga, freddato il 27 novembre 2009 a Riace nell’ambito di una “guerra di mafia” che ha toccato i clan delle province di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria.
In primo grado la Corte d’Assise di Locri aveva condannato all’ergastolo Vincenzo Gallace, 69 anni, ritenuto il boss di Guardavalle e Cosimo Leuzzi, 63 anni, ritenuto il boss di Stignano. Per tali due imputati la Procura di Reggio Calabria ha chiesto la conferma del carcere a vita.
La riforma della sentenza. La Procura generale ha poi chiesto la riforma della sentenza di primo grado per altre posizioni. In particolare la condanna all’ergastolo è stata chiesta per: Andrea Sotira (26 anni in primo grado); Cosimo Spatari, 56 anni, di Placanica (20 anni e 6 mesi in primo grado); Agostino Vallelonga, di Campoli di Caulonia (20 anni in primo grado).
Cosimo Spatari, secondo l’accusa, sarebbe stato il braccio-destro di Cosimo Leuzzi, gestendo un’impresa attraverso la quale quest’ultimo si sarebbe inserito nei lavori pubblici ricadenti nella vallata dello Stilaro. Inoltre sarebbe stato proprio in uno dei silos della “Spatari srl” che si sarebbe tenuta una riunione per decretare la fine di Damiano Vallelunga.
L’esecuzione materiale dell’omicidio sarebbe stata affidata, secondo l’iniziale ipotesi accusatoria, a Natale Misiti, 47 anni, di Stignano, nipote di Cosimo Spatari, ma lo stesso in secondo grado è stato assolto e l’assoluzione è divenuta poi definitiva. Altro soggetto indicato come esecutore materiale dell’omicidio di Damiano Vallelunga sarebbe stato Andrea Sotira, 39 anni, anche lui di Stignano, sposato con la figlia di Pietro Metastasio, ritenuto uno dei boss dell’omonima cosca di Caldarella di Stilo. Sotira è stato giudicato in altro procedimento.
Per quanto attiene invece alle assoluzioni decise in primo grado, la Procura generale ha chiesto la condanna per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni nei confronti di Luca Spatari, figlio di Cosimo, 32 anni, di Riace (richiesta di pena a 13 anni di carcere), Antonio Leuzzi, 32 anni, di Stignano (chiesti 12 anni di reclusione) e Bruno Vallelonga (12 anni di carcere), di Campoli di Caulonia, figlio dell’assassinato Gianni Vallelonga (ucciso il 21 aprile 2010), cugino di Damiano Vallelunga.
Infine la Procura generale ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado per il collaboratore di giustizia Antonino Belnome (15 anni di carcere), Salvatore Papaleo (20 anni), e Roberto Umbaca (17 anni). Salvatore Papaleo, 45 anni, di Monasterace, è ritenuto uomo dei Ruga e soggetto che avrebbe partecipato a due tentativi di omicidio, non andati a buon fine, ai danni di Damiano Vallelunga.
Parti civili nel processo figurano i Comuni di Serra San Bruno, Stilo, Caulonia, Monasterace e Riace, oltre alla Provincia di Reggio Calabria.
Damiano Vallelunga, a capo dell’omonimo clan di Serra San Bruno, detto anche dei “Viperari” è stato ucciso il 27 settembre del 2009 dinanzi al santuario dei santi Cosma e Damiano. Un delitto che sarebbe stato pianificato dagli esponenti di vertice dei clan Gallace di Guardavalle, Leuzzi di Stignano e Ruga di Monasterace entrati in conflitto con Damiano Vallelunga per la gestione di alcuni appalti milionari nelle Serre calabresi come il business dell’eolico. Damiano Vallelunga non avrebbe permesso a nessuno di entrare nel suo vasto territorio delle Serre per fare “affari”.
Avrebbe inoltre pagato con la vita la sua alleanza al boss Carmelo, “Nuzzo”, Novella, che da Guardavalle Superiore si era trasferito in Lombardia con il proposito di formare una nuova struttura di ‘ndrangheta totalmente sganciata dalla “casa madre” calabrese. Un proposito mal visto dai Gallace e dai Ruga, soggetti di vertice dell’intera ‘ndrangheta calabrese che hanno infatti deciso l’omicidio di Novella, freddato poi il 14 luglio 2008 in un bar di San Vittore Olona, nel Milanese, da Antonino Belnome, originario di Guardavalle, a capo del “locale” di ‘ndrangheta di Giussano e con una carriera da calciatore professionista poi stroncata da un grave infortunio.
In tale contesto, Damiano Vallelunga avrebbe preso le difese di Alessio Novella, figlio dell’assassinato Carmelo, al fine di salvargli la vita dopo la morte del padre, ma tale scelta, unitamente ad altri motivi, avrebbe indisposto Gallace tanto da decretare la fine pure per il boss dei “Viperari”.
I Vallelonga di Campoli, stando agli atti dell’inchiesta, spalleggiati dai Vallelonga di Mongiana, avrebbero invece fatto di tutto per raggiungere la pace con Mario Vallelunga, figlio di Damiano Vallelunga, attraverso un accordo separato di cui si sarebbe fatto “garante” il comune cugino “milanese” Cosimo Vallelonga. La consapevolezza da parte dei Vallelonga della “tragedia” e degli inganni orditi ai loro danni dai Gallace-Ruga-Leuzzi sarebbe arrivata quando era ormai troppo tardi.