venerdì,Novembre 22 2024

‘Ndrangheta: processo ai Mancuso, stop della Cassazione alla sentenza

La Prima sezione della Suprema Corte annulla con rinvio la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro di respingere l’istanza di ricusazione nei confronti di due giudici del Tribunale di Vibo Valentia

‘Ndrangheta: processo ai Mancuso, stop della Cassazione alla sentenza

Non potrà andare a sentenza (già programmata per la prossima settimana con la relativa camera di consiglio) il processo “Black money” contro il clan Mancuso, in corso dinnanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha infatti annullato con rinvio, per un nuovo esame da parte della Corte d’Appello di Catanzaro, l’istanza di ricusazione avanzata dai difensori dell’imputato Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, presentata dagli avvocati Francesco Calabrese e Francesco Sabatino. 

Il presidente del collegio di Vibo, Vincenza Papagno, e il giudice a latere Giovanna Taricco, accogliendo in precedenza la richiesta dei due difensori, si erano astenute dalla trattazione del dibattimento “Black money” avendo, in separato processo, condannato a 16 anni di reclusione Nunzio Manuel Callà, che aveva fornito l’arma per il tentato omicidio di Francesco Scrugli su mandato del boss Pantaleone Mancuso “Scarpuni” (in foto). 

Il 31 ottobre scorso, però, il presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Alberto Filardo, con una decisione che non ha precedenti nella storia giudiziaria vibonese in ordine al non accoglimento della richiesta di astensione da un processo penale avanzata da ben due giudici, aveva respinto la richiesta dei magistrati Papagno e Taricco, ritenendo che i due giudici condannando Nunzio Manuel Callà, non vi fosse stata un’anticipazione di un giudizio di responsabilità su Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, accusato di aver ricoperto un ruolo di vertice all’interno dell’omonimo clan di Limbadi e Nicotera. 

Dello stesso avviso del presidente Alberto Filardo era stata la Corte d’Appello di Catanzaro il 3 novembre 2016. La Cassazione, però, accogliendo i rilievi degli avvocati Calabrese e Sanatino, non si è trovata d’accordo con le motivazioni espresse dai giudici di Catanzaro (e di conseguenza anche con la decisione del presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Alberto Filardo) ed ha annullato la loro decisione per un nuovo esame. Tecnicamente, quindi, il processo “Black money” in corso a Vibo Valentia contro 21 imputati non potrà ora andare a sentenza fino alla nuova pronuncia di una diversa sezione della Corte d’Appello di Catanzaro sull’istanza di ricusazione dei due giudici del collegio. Anche nel caso in cui la Corte d’Appello dovesse nuovamente respingere l’istanza di ricusazione presentata dalla difese, alle stesse sarà tecnicamente possibile sempre un nuovo ricorso in Cassazione. I termini di custodia cautelare per gli imputati detenuti scadranno il 20 febbraio

Il processo dal suo inizio ha già subito il cambio di ben due giudici alla guida del Collegio. Prima la dottoressa Carla Sacco, che ha iniziato il dibattimento ma è stata poi trasferita ad altra sede, quindi nel dicembre 2015 il presidente del Collegio Lorenzo Barracco, assegnato – anche qui con una decisione che non ha precedenti al Tribunale di vibo – dalla presidente della sezione penale, Lucia Monaco, per motivi tabellare e di organizzazione interna del carico di lavoro, a presiedere i processi del Collegio ordinario (e quindi non più i processi di mafia) e sostituito alla guida del del processo “Black money” dal giudice Vincenza Papagno.

Accanto a tutto ciò, le esternazioni del boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, collegato in videoconferenza durante un’udienza (mai contestate però con il reato di minaccia al pubblico ministero in udienza) e due istanze di rimessione del processo ad altra sede per motivi di legittimo sospetto sui giudici di cui una già respinta dalla Cassazione. L’ultima, quella avanzata dall’avvocato Francesco Stilo a cui ha conferito procura speciale in tal senso l’imputato Giovanni Mancuso, è stata assegnata alla settima sezione della Suprema Corte che ha fissato l’esame per il 7 marzo.

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