venerdì,Aprile 19 2024

L’INTERVENTO | Terremoti: investire in prevenzione anziché nella ricostruzione

E’ vero o no che, con un terzo dei 120 miliardi che abbiamo speso negli ultimi quarantotto anni, avremmo messo in sicurezza tutta l’Italia? Basterebbero 2,5 miliardi all’anno per quindici anni per farlo. Perché non si avvia un piano del genere? Perché non lo si è fatto prima? Ed allora sono o no da considerare lacrime di coccodrillo quelle che ritualmente i nostri politici versano all’indomani di ogni tragedia?

L’INTERVENTO | Terremoti: investire in prevenzione anziché nella ricostruzione

Delle tante riflessioni che si possono fare dopo l’ultima tragedia che si è abbattuta su Amatrice e sui suoi centri viciniori vorrei isolarne alcune, non potendone trattare altre, che pure meriterebbero di esserlo. La prima riguarda la verità che è sotto gli occhi di tutti: il nostro paese continua ad essere in larghissima misura indifeso da eventi di questo tipo.

Mi riferisco, ovviamente e soprattutto, ai tanti centri storici di cui è disseminato il nostro Paese e che di esso costituiscono la storia, il paesaggio e la cultura nel senso più ampio del termine. Ebbene questi centri continuano ad essere fortemente vulnerabili e non è stato ancora messo a punto un serio piano per il loro adeguamento o, quantomeno, per il loro miglioramento sismico.

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Si dirà: non ci sono le risorse. Certo, in tempi di vacche magre (versus: patti di stabilità, spending review, pareggio di bilancio e quant’altro) i soldi è difficile trovarli. Ma prima? E’ vero o no che, con un terzo dei 120 miliardi che abbiamo speso negli ultimi quarantotto anni, avremmo messo in sicurezza tutta l’Italia? Basterebbero 2,5 miliardi all’anno per quindici anni farlo. Perché non si avvia un piano del genere? Perché non lo si è fatto prima? Sono responsabili o no tutti i governi che si sono succeduti in questi decenni? Ed allora sono o no da considerare lacrime di coccodrillo quelle che ritualmente i nostri governanti e politici versano all’indomani di queste tragedie?

La seconda riflessione riguarda i piani di emergenza. Fermandoci alla Calabria, siamo venuti a conoscenza in questi giorni della notizia che, all’incirca, solo il 54% dei suoi comuni è dotato di un piano di emergenza collocandosi al quart’ultimo posto su scala nazionale (nell’area più esposta al rischio sismico). E la provincia di Vibo Valentia? Solo la metà circa dei comuni ne è dotato. Ricordo che circa quattro anni fa, una delegazione del Forum andò negli uffici comunali del nostro comune per chiedere se esistesse un piano di emergenza. Ci risposero che era stato redatto nel 2005 ma che non era stato pubblicato anche perché non lo si poteva attuare per mancanza di soldi. Comunque, vista la nostra sollecitazione (sic!), avrebbero provveduto alla sua pubblicazione sul sito istituzionale come in effetti avvenne poco dopo. Da allora ad oggi nulla è cambiato malgrado i nostri ripetuti appelli al Sindaco ed al Prefetto perché il piano, di cui abbiamo peraltro rilevato numerose carenze, errori e incongruenza, venisse aggiornato, attuato ed oggetto di esercitazioni.

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Terza riflessione: le scuole. Che le nostre scuole – ed in generale il patrimonio edilizio pubblico, ospedali compresi – presentino elevati livelli di rischio in caso di terremoto lo abbiamo puntualmente verificato anche in quest’ultimo di Amatrice e dintorni. E’ però interessante verificare come i nostri governanti si sono mossi per ovviare a tali inammissibili evidenze. Si è partiti con l’ordinanza n. 3274/2003 che prevede di poter far fare con costi eccessivamente bassi (nel 2003 2,5 €/mc) analisi a tappeto estremamente complesse cui seguono calcolazioni altrettanto sofisticate, le une e le altre, in moltissimi casi, inutili.

E’ come se a tutti i pazienti il medico curante ordinasse tutti i tipi di analisi possibili senza aver fatto alcuna diagnosi. Continuando con l’analogia, è evidente che, anche per gli edifici, lo studio del loro stato di salute deve partire da una seria anamnesi e cioè dall’indagine sulla loro storia (data di costruzione, progetto, varianti, modalità di esecuzione dei lavori, ecc.); proseguire con l’esame obiettivo, anche attraverso gli esami strumentali, ma solo quelli strettamente necessari; pervenire alla determinazione delle cause delle eventuali patologie , quindi alla terapia consistente negli interventi per elevare il grado di sicurezza della costruzione. La conseguenza dell’ordinanza citata, per come è stata concepita, è che i tempi di tutto lo studio si dilatano e con essi i costi, sacrificando il parametro più importante e cioè il tempo che gioca un fattore fondamentale ai fini della prevenzione.

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Arriviamo così al paradosso che invece di intervenire con tempestività in situazioni di evidente e macroscopica vulnerabilità di un edificio, si favorisca l’estremo dilatarsi dei tempi con studi e calcoli superflui e cervellotici. Un esempio per tutti: si pensi ai soffitti delle scuole che crollano e qualche volta tolgono la vita a qualche giovane. Ricordate Rivoli? Sarebbe bastato un semplice controllo per verificarne lo stato e con una cifra molto modesta metterlo in sicurezza. Tali controlli dovrebbero essere imposti per tutte le strutture pubbliche prescrivendone la frequenza e, nel caso, gli interventi mirati alla prevenzione del rischio (non soltanto da sisma) che possono essere rapidi ed efficaci.

Per concludere bisogna amaramente constatare che, ancora una volta, ritardi colpevoli e leggi assurdamente inadeguate e produttrici di costi eccessivi, hanno decretato il fallimento di una seria politica di messa in sicurezza del nostro patrimonio edilizio ai fini antisismici.

*Portavoce del Forum delle associazioni vibonesi

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